Vorrei tremare
non essere indifferente
al profumo del fango
e le foglie bagnate.
Senza pensieri a muovere gli arti
per una volta alla fermata aspetto
invece di usarli.
Hanno più sonno di me le mie dubbie ossa
più sonno che fame la mia carne concia.
Vorrei una coperta e un libro.
Silenzio voci, silenzio catene.
E più di tutto il mio antico rumore.


Alla morte
voglio arrivare tra cent’anni
stolto, giovane e impreparato.
Pensarci allora
o niente affatto.
Che da lontano
il capitano esangue
mi venga incontro
e come il re
alla sua vista inorridire.
E se da dietro
mi prenderà senza preavviso
sarà da cane
che gobbo tremulo mi arrenderò.
Ma in quell’istante
di solitudine e cieca ebbrezza
avrò creduto sia stata vita.


Come si può non amare
i mattoni di questa città
le sue notti puntate dallo splendore
bestiale di mille occhietti argentati
le sue mattine di bianca cera
e del suo porto i suoni convulsi.
Come non credere a Maria
schiva zingara dei suoi vicoli lordi
alle sue piastrelle sconnesse
ladre dei sogni di quanti sguardi
vi si siano persi a cercare il cielo,
a trovare polvere.
E alla bellezza
con cui ferisce e possiede
chi ha il privilegio
immenso
di bere assetato
il suo ruvido sangue.

